Alcune note sull’autorità

25 febbraio 2011

Pretesto. Qualche giorno fa a Venezia ho ascoltato una discussione in cui Carmelo Vigna è intervenuto sulla differenza tra autorità e potere. Non era una sua relazione, lui parlava a ridosso del discorso di un altro per cercare di mettere un po’ d’ordine in quella distinzione, che aveva un ruolo in quel discorso. In quel momento non sono riuscito ad intervenire perché non mi sono ritrovato nella direzione che lui aveva preso per operare quel riordinamento: io avrei preso un’altra strada e la sua non mi pareva quella giusta. Pensandoci su, però, mi sono accorto che, per quella direzione, a cui continuo a preferire la mia, Vigna ha toccato un punto che io avevo invece dimenticato e per dare un posto al quale ho pensato di scrivere queste brevi note. Note che concepisco come semplici bozze preparatorie ad un articolato discorso sulla nozione di autorità, nozione che, come dicevo nell’ultimo post raccontando di una discussione con Marco Focchi, penso sia decisiva per articolare appropriatamente alcuni problemi che si pongono oggi, ad esempio, per ripetermi, quello dell’insegnamento e delle precondizioni di quell’atto enunciativo o di quell’intreccio di atti enunciativi che sono l’insegnare.

Se non ho capito male (e giacché, come dicevo, non si trattava di una relazione, ma di interventi o di osservazioni nascoste dentro domande, non è improbabile che abbia frainteso, per cui mi assumo la responsabilità di quel che segue), Vigna ha innanzitutto fatto valere l’esigenza che per distinguere autorità e potere sia posto il piano comune su cui poi i distinti si opporranno. Condivido assolutamente questo metodo. La sua proposta, però, è stata di chiamare “potere” questo piano comune e di distinguere poi tra il potere esercitato per il bene dell’altro, che sarebbe l’autorità, e il potere esercitato per un proprio tornaconto, che sarebbe quello che poc’anzi chiamavamo “potere” e che mi pare non sia una forzatura eccessiva chiamare “dispotismo”. Leggi il seguito di questo post »